giovedì 26 maggio 2011

Il cilindro

Nell'estate del 1965 Eduardo scrisse Il cilindro, atto unico ispirato, secondo alcuni, ad un fatto di cronaca. Il soggetto della commedia era stato venduto dall'autore per uno degli episodi del film "Racconti a due piazze", una coproduzione italo-francese; titolo dell'episodio era "Morire per vivere". Il film in Italia non ebbe particolare successo ed uscì solo dopo la messa in scena teatrale di Eduardo.

Il debutto avvenne il 14 gennaio 1966 a Roma, al Teatro Quirino, insieme a Dolore sotto chiave, altro atto unico che era stato già rappresentato nella stagione precedente. Lo spettacolo aveva il sottotitolo di "Due giorni dispari" e  tratto comune dei due lavori è il tema della morte. Per i due protagonisti de Il cilindro, Eduardo ricorre ad attori non napoletani; Franco Parenti, milanese, interpreta Rodolfo e Gianna Giachetti, fiorentina, è sua moglie Rita.

Una lunga didascalia iniziale descrive l'ambiente in cui si svolge la scena, ambiente «che vediamo ha tutte le caratteristiche di quei locali sotto il livello stradale, tipici delle costruzioni di fine settecento, destinati a deposito, cantina o, nel migliore dei casi, alla sistemazione del "guardaportone"». Agostino Muscariello, ex custode di teatro, e la sua compagna Bettina, dividono la misera abitazione con Rodolfo e Rita, una coppia di giovani sposi. I quattro rischiano di essere sfrattati e per riuscire a raggranellare in breve tempo la somma di denaro di cui necessitano, hanno escogitato uno stratagemma. Rita adesca uomini dal balconcino a livello strada che affaccia sul vicolo. Una volta entrati li conduce fino al letto matrimoniale, dove però trovano ad attenderli una brutta sorpresa: disteso sul letto c'è Rodolfo nella posizione tipica dei defunti. Quando il malcapitato di turno chiede spiegazioni, Rita inizia la sua sceneggiata, spiegando che quello è suo marito morto da poco e che è costretta a prostituirsi per poter pagare il funerale. Nella maggior parte dei casi gli uomini, ai quali viene preventivamente estorto il denaro, scappano spaventati. Nei casi in cui questo non avviene e magari lo sfortunato cliente prova almeno a farsi restituire i soldi, giunge in soccorso Agostino. Si presenta con indosso un vecchio cilindro ed inizia a terrorizzare il poveretto con discorsi astrusi, facendosi forte proprio dell'autorità che il copricapo gli conferisce. Infatti, come spiega a Rodolfo dopo aver messo in fuga l'ennesimo cliente:
AGOSTINO: Non si parte dal cappello a cilindro, ci si arriva. [...] Prima di tutto, la potenza di questo cappello la potranno capire solamente gli uomini istruiti. Gli analfabeti lo troveranno esagerato per la loro condizione, e non si permetteranno mai, non dico di portarlo abitualmente, ma neppure di metterselo in testa per un solo momento. [...] Insomma, caro Rodolfo questo è un cappello eterno e miracoloso. E ogni famiglia bisognosa ne dovrebbe tenere uno, sempre pronto, appeso alla cappelliera. Io me lo tengo geloso, e lo porto sempre in testa, perché mi ha salvato in diverse occasioni.

Tutto sembra filare liscio fino a quando Rita adesca Attilio, un anziano vedovo. La scena si ripete secondo il collaudato copione ma l'uomo, mentre sta per andarsene come tutti gli altri, si accorge della messa in scena e decide allora di smascherare l'imbroglio. Finge un ripensamento ed accetta di consumare sul letto, accanto al morto. A quel punto interviene Agostino ma la sua invettiva non impressiona minimamente Attilio.

AGOSTINO: Siete analfabeta, voi?
ATTILIO: (risentito) Io? Per regola vostra ho fatto il liceo, l'università e tengo due lauree.
(Agostino, deluso, si toglie il cilindro)

Inizia quindi un gioco al rialzo da parte del "vecchio pazzo" che arriva ad offrire una cifra esorbitante, incoraggiato dalla folla del vicolo che si è accalcata alle finestre e che applaude ad ogni suo rilancio. Alla fine sembra aver vinto lui e sia Rodolfo che Rita non riescono a rinunciare alla lusinga dei soldi, anche a costo di diventare lui cornuto e lei prostituta.

Fortuna vuole tuttavia che Attilio, mentre aspetta che Rita lo raggiunga a letto, si addormenta. Agostino allora trova il modo per aggiustare la situazione: porta l'orologio in avanti di due ore, taglia la candela che si trova sul comodino e, quando Attilio si sveglia poco dopo, forse suggestionato per averlo sognato, è convinto di aver fatto l'amore con Rita. Andrà via soddisfatto, lasciando alla donna il suo biglietto da visita. A questo punto, mentre tutti si rallegrano per essere riusciti a beffarlo, Rita fugge via, attratta dalla prospettiva di ricchezza lasciata intravedere dal "vecchio pazzo". Mi sembra interessante quanto scrive Anna Barsotti:

«A Eduardo questo personaggio di "anziano" non era simpatico: ha la tracotanza del ricco nei confronti del povero, la sicurezza che gli basti alzare il prezzo per ottenere quello che vuole, anche se alla fine manifesta tenerezza verso la donna (più di tutti vittima della situazione di miseria e di degrado) [...] Anche i "giovani", nei quali Eduardo dichiara fino alla fine di nutrire speranze di riscatto, mostrano qui di cedere o di venire sconfitti. Proprio nel suo accorato discorso come a se stesso, Rodolfo dimostra la propria incapacità di resistere alla tentazione del colpo fortunato, seppure gli costa la patente di "cornuto"; ma anche Rita, [...] quando fugge, nell'ultima scena, dall'ipocrisia predatoria dei suoi compagni per inseguire il miraggio di benessere fattole balenare dal "vecchio pazzo", anziché ribellarsi (come potrebbe sembrare) cede. Accondiscende ai giochi di prestigio con cui il denaro (sotto forma di vestitini nuovi e di scarpette…) è capace di abbindolare i poveri diavoli».

Al suo debutto l'atto unico è accolto con favore e riceve critiche positive, sia riferite alla recitazione «particolarmente efficace» di Eduardo, nei panni di Agostino, sia per il testo in sé, anche se qualche giornale di destra accusa Eduardo di riproporre «con gratuito compiacimento» il tema delle condizioni di miseria del popolo napoletano e dei compromessi a cui scende per sopravvivere. Sono molto apprezzate la regia e la scenografia, ideata dallo stesso Eduardo. Lo spettacolo non sarà più ripreso in teatro ma nel 1978 viene realizzata l'edizione televisiva, che vede tra gli interpreti, oltre allo stesso Eduardo nei panni di Agostino, Pupella Maggio nel ruolo di Bettina, Luca De Filippo e Monica Vitti in quelli di Rodolfo e Rita e Ferruccio De Ceresa nella parte di Attilio. Questa versione fu particolarmente apprezzata da Mario Soldati che scrisse una lettera aperta all'autore pubblicata su "La Stampa" ed in cui scrisse tra l'altro, a proposito di un lunghissimo primo piano di Ferruccio de Ceresa:

«È probabile che si tratti del più lungo primo piano della storia non soltanto del cinema televisivo ma del cinema tout court. L'obiettivo resta fisso sul primo piano del miliardario mentre le mani di tutti gli altri personaggi, femminili e maschili, gli si agitano intorno carezzevoli e cupide, frenetiche e fanatiche, suadenti e supplichevoli, innamorate e imperiose, tenere, striscianti, prementi, tamburelleggianti, minacciose. E così il primo piano di De Ceresa diventa perno, centro di questa tua stupenda commedia televisiva: una immagine che allude con medioevale violenza al perno, al centro economico di tutta la civiltà attuale: simbolo, senso, condanna della nostra vita di oggi».

Bibliografia
Eduardo De Filippo, Teatro, Vol. III, a cura di Paola Quarenghi e Nicola De Blasi (Mondadori - I Meridiani)
Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni dispari, Vol. III, a cura di Anna Barsotti (Einaudi)


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