domenica 21 novembre 2010

Le bugie non finiscono mai

Giovedì scorso al teatro Quirino di Roma, dopo la rappresentazione pomeridiana di Le bugie con le gambe lunghe, Luca De Filippo ed il critico teatrale de "Il Mattino", Enrico Fiore, hanno parlato de "Le bugie dell'apparenza. Eduardo, una commedia profetica". Personalmente andrò a vedere la commedia domenica prossima ma non ho voluto perdermi questo incontro. Eravamo circa una trentina di persone presenti, la maggior parte delle quali avevano appena assistito alla rappresentazione. Nonostante le sedie piazzate sul proscenio, Luca De Filippo ed Enrico Fiore sono rimasti giù in platea, in piedi davanti alla prima fila di poltrone, come per una chiacchierata informale.
Il critico de "Il Mattino" ha fatto una breve introduzione ringraziando i presenti, innanzitutto per aver scelto di andare a teatro e in secondo luogo per essere rimasti ancora, dopo due ore di spettacolo. Ha poi ricordato un aneddoto risalente al 1979 quando, come consuetudine, dopo i suoi spettacoli Eduardo riceveva in camerino amici e spettatori.

Enrico Fiore: Eduardo era capace di parlare per ore di argomenti di cui non gliene importava assolutamente niente; però nel corso di queste conversazioni ogni tanto buttava "senza parere", fulmineamente, delle cose di una potenza che non ho più ritrovato. E bisognava stare attenti a coglierle; se uno le coglieva era molto apprezzato da Eduardo, se non le coglieva lui diceva: «Questo non è un interlocutore con cui vale la pena di parlare». Quella sera, mentre parlava del più e del meno, ad un certo punto disse una cosa che mi sembra una delle più giuste che siano mai state dette su Napoli: «Non riusciremo a procedere spediti fino a quando non avremo fucilato la dignità». Mi sembrò acuta ma lì per lì io non avevo capito. Poi, rivedendo questa commedia ho capito che ne aveva recitato una battuta, quando il protagonista dice alla sorella che, dopo la guerra, il signor "pare brutto" è morto sotto un bombardamento, la signora "dignità" è stata fucilata. Questa è una commedia profetica, basti pensare ai tempi che viviamo oggi: c'è tutto. Si commettono i peggiori delitti, e in nome di che cosa? Di questa dignità… Eduardo per "dignità" intendeva il falso decoro esteriore, le apparenze. E il nostro è il tempo dell'apparenza, conta più apparire che essere, lo sappiamo tutti; e in nome di questa apparenza si commettono i peggiori delitti.

Luca De Filippo:  Sicuramente è una commedia che punta il dito sulle apparenze. Però mi sembra che oggi questa problematica sia stata superata, nel senso che oramai non importa più a nessuno anche di apparire male, tanto poi si dice "Non è vero. Questo? Mai detto, mai fatto, mi avete frainteso". Aggiungerei anche che il personaggio di Libero è estremamente pessimista, nel senso che si è adeguato al vivere moderno, a quelle che sono le abitudini della gente. Capisce il meccanismo e lo dice alla fine, quando la maschera del cinema gli dice:  «A me che mi importa di dirvi la verità? Se voi mi dite 'io sono il re di Francia', se non ho interesse di smentirvi io dico che siete il re di Francia». Libero allora capisce: «Già, così la voce passa e per chi non ha interesse di smentire, la bugia può camminare. Poi ci sono quelli che non sanno e per questi, col passare del tempo, io veramente sono il re di Francia». Questo è un meccanismo che noi viviamo ora per ora in questo benedetto paese. Oramai siamo abituati a vedere personaggi che si sono costruiti un passato di grande onestà, dignità, ma se poi si va ad indagare può capitare di scoprire: "Ma come, quello era un autista e mo' è diventato quello…".  Ma io mi domando il perché. Siccome tutto questo in Italia lo sappiamo, ma perché lo sopportiamo, o perché c'è gente che lo sopporta? Perché evidentemente sono quelli che non hanno interesse di smentire. Essendoci al potere persone di un certo tipo, c'è chi pensa di poter vivere esattamente nello stesso modo e di avere la possibilità di non pagare le tasse, di fare quello che si vuole, perché la legge non è stata scritta per loro, ecc. ecc. Questa è secondo me la ragione per cui poi in Italia sopportiamo le menzogne, che conosciamo benissimo e continuiamo a sopportare. E siccome non siamo cretini, significa che siamo furbi, immagino… Il problema è che sono molto più furbi di noi, alla fine…
Chiusa questa parentesi, parliamo della commedia. È stata scritta nel '47, io l'ho ambientata più o meno nel '50. In una didascalia iniziale Eduardo precisa che l'azione si svolge in un grande palazzo a sinistra rispetto alla stazione centrale. Sono quei grandi palazzi costruiti immediatamente dopo la guerra e che lui indica come le prime speculazioni edilizie. L'ho ambientata negli anni '50, non più nel dopoguerra, ma durante la ricostruzione e quindi il cemento armato che arriva, il nuovo modo di vivere all'interno di agglomerati, di grandissimi caseggiati. In questo periodo si è verificata una appropriazione indebita di grandi ricchezze da parte di determinati personaggi attraverso la speculazione edilizia. Sono state  costruite le città non più a misura d'uomo ma a loro misura, a loro necessità, con la connivenza della politica, senza più pensare alla necessità che ogni quartiere avesse, non una, ma quattro scuole, avesse un parco, avesse un teatro, zone di divertimento e zone di interesse, musei e quindi oggi ci ritroviamo città invivibili in cui ci scanniamo perché siamo tutti nervosi…

EF: Una notazione tecnica che mi pare importante per gli spettatori… Questa  commedia appartiene alla Cantata dei giorni dispari, cioè quelle commedie di Eduardo scritte dopo la guerra, come Napoli milionaria! e anche qui si parla continuamente della guerra e dei guai che ha lasciato, disillusione, amarezza…

LDF: Questa è una notazione molto interessante perché mentre prima, inNapoli milionaria!, che è del '45,  il rapporto con la guerra è stato un rapporto molto intenso,  i cambiamenti che ci sono stati a Napoli realmente erano derivati dalla guerra, due anni dopo in questa commedia la guerra viene presa a pretesto, diventa una scusa…

EF:… e si rilancia il tema dell'apparenza, si utilizza tutto pur di salvare questa facciata dietro la quale nascondere le ipocrisie, le miserie morali, i piccoli sotterfugi. La commedia non è affatto minore come qualcuno sostiene, perché a questa profondità di temi si accoppiano elementi e forme che arrivano direttamente dalla Cantata dei giorni pari. Ad esempio il personaggio di Benedetto Cigolella è una sorta di guappo di cartone che a me fa venire in mente il personaggio di Uomo e galantuomo. Lì era soltanto l'ingranaggio di un meccanismo sostanzialmente farsesco, qui diventa una sorta di cartina di tornasole…

LDF:…La commedia è stata scritta nel '47, di supporto a Filumena Marturano; mio padre aveva paura che non avesse successo e quindi scrisse questa commedia. Automaticamente, essendo Filumena un lavoro drammatico, si premunì e scrisse una commedia con una struttura comica, quasi farsesca… In questo senso mi viene in mente quello che era successo a Molière quando scrisse Tartufo. Quando la scrisse gli chiusero il teatro, venne censurato; gli attori allora gli chiesero di scrivere una commedia comica e lui scrisse il Don Giovanni, perché all'epoca era una farsa, un grande cavallo di battaglia per gli spagnoli, gli italiani, e la gente andava a teatro per vedere chi aveva realizzato meglio la statua del commendatore, perché era anche un teatro neobarocco in qualche modo, quindi c'era questo desiderio, questa curiosità. Molière scrive Don Giovanni, lo mette in scena e gli chiudono il teatro un'altra volta. Questo perché i grandi autori, quando prendono in mano una materia, la fanno lievitare, diventa un'altra cosa… Quindi Eduardo scrive Le bugie con le gambe lunghe con una struttura di un certo tipo ma poi parla direttamente a noi, parla dei nostri giorni.

Dal pubblico viene chiesto come mai questo lavoro sia stato poco rappresentato negli anni.

EDF: Mio padre non l'ha rappresentata moltissimo, però è anche vero che dopo scrisse tante altre cose, Sabato, domenica e lunedìLa grande magia, Questi fantasmi!, Le voci di dentro, e quindi in qualche modo la mise da parte e poi non pensò più a metterla in scena. Per quanto riguarda altri interpreti, secondo me è un fatto di pigrizia, nel senso che - e sto parlando per me -  quando io penso a Pirandello ad esempio, non è che io abbia letto tutto Pirandello, avrò letto dieci commedie, quindi ho un'infarinatura di quella che è la sua drammaturgia. Quando penso a Pirandello penso ai testi più noti, è una pigrizia che dovremmo superare. Anche quando gli altri attori pensano alla drammaturgia di Eduardo, si rivolgono sempre ai testi più conosciuti.

EF: Bisogna anche considerare che certi titoli hanno un peso specifico commerciale maggiore di altri. Se io faccio Filumena Marturano la piazzo dovunque; se faccio Le bugie con le gambe lunghe gli impresari, i direttori dei teatri mi dicono: "Che cos'è? Non la conosco"…

LDF: E questo avviene per tutti gli autori… ci sono degli Shakespeare "minori" che non vengono mai rappresentati. Quando ho riletto questa commedia ho pensato che mi parlava ancora. Bisogna tener presente che io vengo da un'esperienza abbastanza lunga con Francesco Rosi, con cui dal 2002 ho fatto Napoli milionaria!, Le voci di dentro e Filumena Marturano. Tutte queste commedie sono state scritte nel periodo dal '45 al '50, compresa questa, e quindi mi interessava continuare a lavorare su quel momento drammaturgico per comprendere meglio l'arco di pensiero che c'era stato in Eduardo.
Libero non è un personaggio positivo. All'inizio c'è una battuta, quando lui parla con Graziella e le dice che la sorella si sposerà, lei dice «Che malinconia», riferendosi al fatto che Libero dice «troverà un marito, si mette a posto, povera Costanza». Alla considerazione di Graziella, lui ribatte: «tu la chiami malinconia, io la chiamo praticità. Quando mia sorella si sarà sposata io potrò finalmente 'sgranchirmi' un poco e pensare finalmente a me», cioè la reazione è misurata sulla ricaduta che avrà su di lui e non sulla sorella… è un egoista Libero.
Io l'ho voluto rapportare ai nostri giorni e quindi ho dovuto dargli un significato di un certo tipo. Da un lato lui non riesce a contrastare da solo questi "mulini a vento" enormi che si trova ad affrontare, ma allo stesso tempo si è adeguato volutamente e coscientemente al modo di comportarsi generalizzato nella società, perché in fondo non ne può più di mangiare cinquanta grammi di formaggio… e allora è come se dicesse: "arruobbi tu? Arruobbo pur'io", per citare  Amedeo in Napoli milionaria!… Da un punto di vista di proposta, in questo momento, mi sembra più interessante un Libero che abbia delle posizioni per cui si adegua.

EF: Io vorrei sottolineare il segno della sua ambiguità. Lui sposa un'ex prostituta e annuncia questa sua intenzione all'interno di un rituale, il rito della presentazione del bambino. Questa è una provocazione ma c'è anche un calcolo perché lei ha i soldi…

LDF: …tanto è vero che l'ultima battuta è una battuta durissima. Lui le dice: "Cammina, tu!"

Domanda: Lei ha sottolineato che la condizione del protagonista è legata al tema dell'apparire e quindi alla tendenza ad adeguarsi a questa corrente. Quello che mi domando è se ciascuno di noi sia in grado di tradurre queste note pessimistiche in momenti di catarsi. Oggi, facendo riferimento al discorso sulla società, questa inversione è difficile da trovare, anche perché certi valori, certi pensieri, certe regole, sono scomparse.

LDF: Sono convinto che se non esistesse più una speranza di futuro potrebbe succedere un cataclisma perché un futuro senza speranza porta alla violenza, all'uomo che si rivola e che combatte in un certo modo. Allo stesso tempo, tenendo presente che comunque dobbiamo lavorare per il futuro, c'è da dire che ci stanno togliendo tutto… ce la stanno mettendo tutta per toglierci anche la più piccola speranza. Quando Eduardo scrive la commedia nel '47  io  non credo sia stato un premonitore, già allora c'era quella situazione, non ha previsto quello che sarebbe accaduto, ha registrato quello che c'era e c'è ancora oggi in modo molto maggiore. E parliamo della mondezza a Napoli… Io mi domando come si possa risolvere questo problema, non solo della mondezza, ma della criminalità, della disoccupazione, della sovrapopolazione, dell'ignoranza, mali che hanno colpito Napoli e la stanno massacrando. Mi dico: ragioniamo con un po' di speranza… cosa posso fare? Da dove comincio? L'unica speranza sono i giovani, dobbiamo puntare sui giovani, dobbiamo fare in modo che abbiano un'istruzione perché, se noi non potremo vedere una Napoli pulita, speriamo che possano vederla loro fra trent'anni… Allora puntiamo sui giovani, quindi le scuole, l'istruzione… E poi mi dico: ma se questi giovani vivono in quei quartieri, con quei genitori, con quell'esempio, ce la faranno a superare tutto questo solo attraverso l'istruzione? La mia esperienza mi ha lasciato diverse ferite… Eduardo scompare nell''84, nell''80 era diventato senatore e negli ultimi anni si era occupato dei ragazzi a rischio napoletani, tentando di portare questa problematica di fronte all'opinione pubblica e alla politica. Disse: «Facciamo qualcosa; creiamo delle situazioni per cui almeno alcuni di questi ragazzi possano cambiare ed avere un futuro di un certo tipo». Sono passati 30 anni… Esperienza personale: 2002, San Carlo di Napoli, Napoli milionaria!, alla fine dello spettacolo io mi affaccio: «Signor sindaco, - dico -abbiamo raccolto con la nostra associazione "Nisida Futuro Ragazzi" 150.000 euro che vorremmo dare  a voi per creare qualcosa per questi ragazzi di Nisida»… Non ce li hanno mai chiesti…  Io mi metto a disposizione come privato, sono pronto a fare la mia parte, ma di fronte a trent'anni in cui non è successo nulla, cosa posso fare da solo? Ho bisogno di un sostegno politico che metta in atto quello che io posso fare da privato. Fino ad ora questo non è successo. Io continuo a sperare, intendiamoci, però è sempre più difficile…

EF: Io vorrei ricordare che qualche anno fa Luca ha donato alla città di Napoli il teatro San Ferdinando, che era di proprietà del padre. Questo teatro non è mai stato rilanciato. È stato ristrutturato, quando ha riaperto io sono andato e la prima cosa che ho visto nella piazza intitolata a Eduardo sono stati i cassonetti della spazzatura davanti al teatro restaurato. Ho chiamato il direttore del Teatro Stabile che mi ha detto di aver avvisato il Comune. Io gli ho risposto: «Tu dovevi fare una cosa: quanti dipendenti siete qua dentro, trenta? Uscite, pigliate i cassonetti e spostateli più in là, in un vicolo laterale…».

LDF: Napoli è in una situazione di questo tipo perché hanno creato le condizioni affinché  il cittadino non possa più intervenire. Lunedì sono stato invitato dal cardinale Sepe ad intervenire ad un incontro sulla forza della cultura, perché in un articolo che uscì sul "Mattino" io dissi che non dobbiamo dimenticarci di che cosa è Napoli, non dobbiamo perdere l'orgoglio di essere napoletani. Il cardinale Sepe quando c'è stato l'ultimo miracolo di San Gennaro ha detto: «La speranza è finita»... Io non credo che possa finire mai la speranza, perché non è possibile, non avremmo noi ragione d'essere, non avremmo futuro… ma allo stesso tempo si alzano delle vere e proprie grida di dolore. 


Sullo stesso argomento:
14 gennaio 1948. Le bugie con le gambe lunghe
La parte amara della risata

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