lunedì 5 aprile 2010

Come a concerto


In questo libro Antonella Ottai, docente presso il Dipartimento di Arti e Scienza dello Spettacolo dell'Università "La Sapienza" di Roma, ripercorre la storia della compagnia Il Teatro Umoristico I De Filippo durante gli anni Trenta. Si parte dalla prima tournée che i fratelli intrapresero nel nord Italia, e che li avrebbe poi resi noti su tutto il territorio nazionale, per arrivare alla definitiva rottura, avvenuta nel 1944.  
Nei vari capitoli vengono analizzati i rapporti che la Compagnia ebbe con gli autori dell'epoca, come si inserirono nelle varie tendenze che andavano affermandosi, le scelte che erano alla base della costruzione del loro repertorio, le prime affermazioni come autori, gli equilibri tra le rispettive peculiarità di interpreti che determinavano il loro modo di scrivere.

Un intero capitolo è naturalmente dedicato ai rapporti che i De Filippo ebbero con Luigi Pirandello, incontro che inizierà a far emergere le prime divergenze tra Eduardo e Peppino e a delineare le strade diverse che successivamente imboccheranno.
Particolarmente interessante è la parte che descrive l'ultimo periodo di attività della Compagnia, nel contesto degli anni del fascismo, che intervenne in maniera decisa per affermare la cultura nazionale in ambito teatrale a scapito di quella dialettale e di quella straniera.  A questo proposito viene riportato un intervento di Eduardo che difende l'operato suo e dei suoi fratelli da un attacco che era stato rivolto nel '38 dallo scrittore Gherardo Gherardi, che accusava le compagnie dialettali, ed in particolare i De Filippo, di arretratezza.  Eduardo risponde dalle pagine del Giornale d'Italia:

«Seguo con interesse lo sforzo che si va spiegando a favore del teatro. Tutti conveniamo che bisogna favorire la produzione delle belle commedie italiane, in modo che, anche da questo settore, la battaglia autarchica raggiunga in pieno i suoi scopi. [...] Questo è nei voti di tutti e  quindi miei, perché il teatro italiano e il suo avvenire mi riguardano molto, visto che gli attori dialettali, appunto per la loro particolare caratteristica, non si rassegnano a rinchiudersi nella cerchia regionale ma decisamente si affermano italiani, e buoni italiani del tempo presente. [Gherardi] si mostra accorato che le folle prediligano il nostro teatro. Si tratterebbe secondo lui di un pubblico arretrato! [...] Questo periodo di voga e di comprensione, noi lo abbiamo atteso per lunghissimi anni, diciamo almeno venti, recitando nelle compagnie di ordine e in quelle a scartamento ridotto, nei grandi teatri, nei baracconi, nelle metropoli e  nei paesetti di provincia. [...] Quelle commedie [...] costarono anni di lavoro sconosciuto; e alcune dormirono a lungo nel cassetto senza che alcun capocomico volesse rappresentarle; senza che nessun uomo o maneggione di teatro ci volesse accordare tanto di fiducia da comporre per noi una modesta compagnia e allestire una decorosa messa in scena. Tutto con la nostra parsimonia e la nostra fede dovemmo fare; e ora siamo appena riusciti a sbucare, rappresentando da circa sei anni le stesse commedie perché non è così facile lanciarne a getto continuo. L'illustre Gherardi mi onora troppo credendo, e volendo far credere, che nel giro di una notte, io sia capace di pensare, e l'indomani provare e recitare, mettiamo, "Uno coi capelli bianchi"». 

Antonella Ottai, Come a concerto. Il Teatro Umoristico nelle scene degli anni trenta, Bulzoni Editore (2002)


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