venerdì 5 marzo 2010

5 marzo 1942. Io, l'erede

Io, l'erede è la commedia che conclude la Cantata dei Giorni Pari. Fu rappresentata per la prima volta dalla Compagnia Teatro Umoristico i De Filippo, senza Titina che in quel periodo era nella compagnia di rivista di Nino Taranto, al Teatro La Pergola di Firenze, il 5 marzo 1942. Quarant'anni dopo Eduardo raccontò di aver scritto questa commedia  nel 1941, «per passare il tempo» durante un periodo trascorso da sfollato a Sorrento e che la prima lettura pubblica avvenne durante un coprifuoco.
La commedia è costruita su una situazione paradossale che sembra prendere spunto da due lavori che la compagnia dei De Filippo aveva rappresentato negli anni precedenti, Sarà stato Giovannino! di Paola Riccora eIl coraggio di Augusto Novelli. In questi lavori si fa riferimento rispettivamente alla carità cristiana apparentemente disinteressata ed alle pretese di un aspirante suicida che ritiene dovere di colui che lo ha salvato provvedere al suo mantenimento vita natural durante.
Secondo alcuni studiosi è possibile ritrovare nella commedia di Eduardo dei riferimenti a Pirandello, in particolare a Il piacere dell'onestà. Come spesso accade, Eduardo, nelle sue Lezioni di Teatro, riferisce di un episodio realmente accaduto che gli avrebbe dato lo spunto per la trama della commedia: «Un mio amico, un bravo giornalista, Arturo Milone, antifascista com'era, perdette il posto nel giornale in cui lavorava […] Io gli volevo molto bene, stavamo sempre insieme, lo aiutavo, era sempre a casa mia. Milone morì […] C'era un altro amico che si chiamava De Pino […] Quando Arturo Milone morì venne questo De Pino e mi disse: "adesso che è morto Milone, posso venire io? Mi puoi invitare?" Da questa battuta nacque Io, l'erede».


I membri della famiglia Selciano, Amedeo, avvocato, sua sorella Adele, sua zia Dorotea, sono tutti dediti ad opere di beneficienza.  Lo stesso padre di Amedeo, Matteo Selciano, quando era in vita aveva accolto in casa sua Bice, la figlia ormai diciassettenne di una domestica, e Prospero  Ribera, un ex compagno di scuola caduto in disgrazia e che era poi rimasto con la famiglia Selciano per trentasette anni, fino alla sua morte avvenuta qualche giorno prima.
Ed è proprio Ludovico, il figlio di Prospero che, inaspettatamente, si presenta in casa Selciano per riscuotere "l'eredità" lasciatagli dal padre. Abbandonato dal genitore all'età di quattro anni, aveva vissuto con una portinaia e con suo marito marinaio dopo la morte della mamma. Dopo una vita trascorsa arrangiandosi, facendo il pescatore, a volte anche il contrabbandiere, approda causalmente a Napoli il giorno del funerale di suo padre. Presentandosi ai partecipanti alle esequie in qualità di figlio del defunto Prospero, riceve da Amedeo una cassetta contenente i pochi averi di suo padre, tra cui in diario in cui sono riportate in maniera precisa le abitudini di tutta la famiglia Selciano e ogni dettaglio della vita che Prospero ha trascorso con loro. Il quadro che ne viene fuori non è poi così idilliaco e quella che sembra a prima vista una famiglia animata da spirito di solidarietà per il prossimo, in realtà non fa che elargire una "carità pelosa", costringendo i beneficiati ad uno stato perenne di soggezione nei loro confronti.

LUDOVICO: […] Il beneficiato odia il benefattore appunto per la riconoscenza che gli deve… Perché non crediate che il benefattore si accontenta di una riconoscenza normale. Il benefattore, quando t'ha fatto una buona azione, dopo pretende chissà che cosa… Infatti si affeziona al beneficato perché, beneficandolo, crede di comprarselo poco per volta e farne cosa sua.

Lo stesso Prospero, qualche tempo prima aveva avuto una furibonda lite con il suo amico e benefattore Matteo Selciano per non avergli lasciato il passo entrando in ascensore. Quella che Ludovico viene a reclamare non è quindi una eredità materiale ma una eredità affettiva e sentimentale, quella che ha consentito prima a Selciano padre e poi a suo figlio di impersonare il ruolo di benefattore. In breve Ludovico intende stabilirsi in casa e prendere il posto di suo padre, prestandosi anche a diventare lo zimbello della famiglia, oltre che consigliere e tutto fare. Dopo le prime proteste di Amedeo, Ludovico arriverà ad imporre la sua presenza con la minaccia (tra le cose di suo padre ha ritrovato una rivoltella sul cui calcio è incisa la frase "non si sa mai").
Dopo un mese di permanenza Amedeo crede di aver finalmente trovato il modo per liberarsi di "Prospero Secondo" (così infatti si farà chiamare "l'erede"). Con la complicità dell'amministratore della famiglia, Lorenzo De Ricco, viene infatti a conoscenza di una truffa compiuta da Ludovico ai suoi danni. Ludovico chiede di essere svergognato alla presenza di tutti i membri della famiglia ma, una volta riuniti, dimostrerà di non aver disatteso il suo impegno con i Selciano, avendo continuato a comportarsi come aveva fatto suo padre che, complice proprio l'amministratore, traeva guadagno dagli affari che conducevano insieme; e come se non bastasse rivela che questi guadagni illeciti sono poi serviti in parte per appianare alcuni debiti di gioco contratti da Amedeo stesso, in parte anche per comperare dei gioielli alla sua amante, la zia Dorotea. La commedia si conclude con l'esortazione di Ludovico alla giovane Bice a lasciare quella casa in cui sta sprecando la sua vita mentre lui, "costretto" a rimanervi, sul finale si ritira nella sua stanza insieme ad Adele, la sorella di Amedeo, a cui ha appena regalato una spilla di brillanti.

ADELE: (apre [l'astuccio] e vede un bellissimo spillo d'oro con brillanti a forma di cuore) Bello! Zia Dorotea ne aveva uno quasi simile. Grazie, Ludovico! Sei tanto caro. È un cuore…
LUDOVICO: Ha la forma del cuore.
ADELE: (lusingata e con intenzione) È un cuore. (Toglie l'oggetto dall'astuccio e se l'appunta sul petto)
LUDOVICO: Ma in brillanti.

Eduardo nel tempo apportò diverse modifiche al testo della commedia, in un primo tempo eliminando e poi successivamente reintroducendo alcune scene, in occasione delle edizioni stampate per Einaudi. Alcuni critici giudicarono la commedia troppo amara e pessimistica e forse proprio per questo Eduardo cercò di smussarne alcune situazioni. Oltre a questo motivo però potrebbe esserci anche una volontà di equilibrare il ruolo di Prospero, interpretato da lui,  e quello di Amedeo Selciano, interpretato da Peppino. All'epoca infatti i rapporti tra i due fratelli erano già abbastanza tesi. Nonostante questi correttivi, Peppino non era contento della parte, come ha ricordato anni dopo Eduardo: «[...] a mio fratello quel ruolo non dava gioia, non lo stimolava, e allora tolsi di mezzo il lavoro. Fu rappresentato quattro sere e non se ne parlò più». E ancora:«Quando andò in scena nel 1942 la feci quattro sere solamente a Firenze e a Torino, perché allora il coprotagonista era mio fratello, il quale non amava quella parte, non so perché, era una delle più belle che io abbia scritto per lui, allora io, anziché veder soffrire una mia creatura, vederla recitata con un po' di distacco, anzi con un po' di sabotaggio, io la tolsi, non volli farla più [...]».
In ogni caso la rappresentazione non ebbe un grandissimo successo, né di pubblico, che comunque apprezzò la bravura degli interpreti, né di critica e fu appunto replicata per sole quattro sere.
Nel 1968 venne messa in scena, per la regia di Eduardo, dalla Compagnia del Teatro Stabile di Roma, con Gianrico Tedeschi e Ferruccio De Ceresa e di nuovo nella stagione 1980-81 da Enrico Maria Salerno. Nel 1996-97 è stata riproposta al Teatro Franco Parenti di Milano da con Corrado Tedeschi e la regia di Andrée Ruth Shammah che la porterà nuovamente in scena nel 2007-08 con Geppy Gelijeses.

Bibliografia
Eduardo De Filippo - Teatro, vol. I, a cura di Nicola De Blasi e Paola Quarenghi (I Meridiani - Mondadori)


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